Un impegnativo aereo alle 7:20 ci costringe alla levataccia, ma ne vale la pena.
Un elicone della Austrian Airlines ci porta a Vienna, non proprio l’itinerario giusto, ma prevale la ragione di budget. Per tagliare la testa al menù vegetariano in aereo forniscono tutti di pasta alle verdure e sono quei momenti che persino un vegetariano si prostituirebbe per una bistecca.
Sbarcati ad Amman le procedure di frontiera sono abbastanza agili. Se state più di quattro giorni ricordate di fare il Jordan passare che offre ingressi in vari siti, ma sopratutto evita un esborso di 40 dinar all’ingresso.
Davanti ai box dell’immigrazione c’è un Exchange con cambi da rapina, okkio!
Prendiamo possesso della macchina prenotata, una Hunday Accent che ha sicuramente conosciuto tempi più floridi, ma anche qui il budget l’ha fatta da padrone. Saliti su quella che da oggi sarà ribattezzata Mustafà partiamo alla volta di Amman, distante circa 15 km dall’aeroporto. Il piccolo lusso che mi sono concesso nel traffico caotico del cambio automatico si ripaga immediatamente, ma l’odore di sigaretta di cui Mustafà è impregnato è rivoltante. Inutile chiedere il cambio, questa era l’ultima.
Ci siamo dovuti sobbarcarsi anche l’affitto del nonno dei GPS, un vecchio Garmin ma provvisto di mappe (poco) aggiornate. Il Tomtom app che uso di solito, tra l’altro regolarmente pagato, ti porta in tutto il mondo, ma non in medio oriente, che Salvini sia nel consiglio di Amministrazione?
La guida giordana è abbastanza aggressiva, ma gestibile. Basta non dare le precedenze e non usare la freccia e sei già in famiglia. Trovare qualche cosa è invece pressoché impossibile. Gli indirizzi non hanno i numeri civici e anche trovare le vie è complicato. I cartelli spesso solo in arabo non aiutano e la struttura stessa della città è intricata. Dopo un paio di tentativi di trovare un ristorante e downtown optiamo per tornare all’albergo Crystal dove alloggiamo e lasciare la macchina. Anche perché se riesci anche a trovare il tuo posto il parcheggio è poi una jmpresa epica. Tutti si muovono in macchina e si capisce anche dalla qualità dell’aria, anche se il numero di ibride ha dell’incredibile.
Troviamo un posto che fa cucina locale, prendiamo delle mezze, una serie di piatti con hummus, babaganush e foul (fave) accompagnate da khoboz, il pane arabo. Il re della serata sono sei meravigliosi felafel con salsa tahina. Tutto ottimo. Ricorderò il ristorante Al Kalha per la squisita e gentile scortesia del gestore. Lo so, sembra un ossimoro, ma è veramente così e l’esperienza va provata.
Abbiamo fatto poi una passeggiata dribblando le macchine parcheggiate e marciapiedi distrutti o inesistenti. Curioso è il fatto che fuori ci sono solo uomini, ai bar, nei ristoranti, a fumare nei cofee shop, nemmeno una donna.
Vedremo nei prossimi giorni, ma ho paura che il giro ci porterà a vedere più turisti che locali.