La sveglia alle 5:53 suona. Ok, l’orario è un po’ strano, ma è quello dell’alba che avevo controllato due giorni fa per Petra.
Mi infilo i vestiti e scivolo fuori dalla capannina. Mi attende il deserto nel meglio della sue luce e difatti non si sbaglia. Le montagne sullo sfondo sono dorate, la piana rossa fino all’ombra della montagna alle spalle del campo.
Qualcun’altro degli altri ospiti è già in piedi, una coppia di indiani cammina per la piana, una tizìa legge un libro, qualcuno ha aperto la finestra della capannina e osserva da dentro.
Il silenzio pervade tutto, l’atmosfera indescrivibile.
Dopo mezz’ora mi raggiunge Leila e facciamo una passeggiata per la piana. Si distinguono parecchie orme di animali nella sabbia, ne riconosciamo poche. Dopo un’altra mezz’ora andiamo a fare colazione, the, hummus, insalate e altre cose, praticamente la standard giordana.
Alle 7:30 ci caricano sulla jeep e ci riportano a casa di Mohamed dove paghiamo al tizio … sulla fiducia perché lui non sa quanto dobbiamo.
Saliamo in macchina e procediamo verso Aqaba. La strada è una autostrada a due corsie, l’unica con,limite ai 110km/h. Spesso ci sono checkpoint, ma a noi stranieri si limitano come semprema dire “benvenuti in …” (dipende dove sei, può essere Aqaba, Giordania…).
Ci vuole poco a raggiungere la città, un po’ di più a trovare il costosissimo hotel Kempinski. “Era una offerta e poi non c’era più altro”, come detto precedentemente la discussione più vecchia del mondo. Ci si può chiedere come mai le sistemazioni non le scelgo io, la spiegazione è semplice: ho perso questo diritto quando organizzai il treno degli scarafaggi dal Thailandia a Laos, cosa che mi viene ricordata spesso e volentieri.
Garmin non ha idea che questo hotel esiste e un po’ a naso e un po’ a fortuna arriviamo a destinazione. Dopo un’oretta di attesa e il caffè con un prezzo da Piazza San Marco ci danno la camera. Tempo di cambiarsi e andiamo in spiaggia.
Ok, siamo sul Mar Rosso, ma non somiglia ai racconti che mi hanno fatto della parte egiziana. A destra c’è un porto commerciale con relative imbarcazioni, a sinistra non capisco, ma altre cargo, in mezzo il nostro recintino per bagnarsi, intorno motoscafi e idro scooter che sfrecciano a tutta velocità.
L’acqua è fredda, ma non ci scoraggiamo. Inforco gli occhialini ed esamino il fondo: i primi 10 metri sono il posacenere più grande del mondo, poi si passa a sacchetti e bottiglie di plastica. Non che il fondo sia uniformemente così, ma di rifiuti se ne vedono. Assenti invece i pesci ad eccezione di alcuni piccolini ed un unico grande pescone che scappa oltre la recinzione in fretta.
Ci si può riposare sul lettino, se non fosse che gli altri ospiti sono particolarmente rumorosi e che riusciamo in quattro ore a sentirne otto di musica, visto che ci sono dalle tre alle quattro canzoni in contemporanea. Alla fine si riesce anche a sdormicchiare.
Terminata la fase mare passiamo alla piscina, più che altro alla jacuzzi, ma dura poco.
Torniamo in camera e cerchiamo un ristorante. Identifichiamo Ali Baba e usciamo dall’hotel a cercarlo.
Aqaba di sera è il consueto casino di traffico, la parte turistica però non è enorme e lo troviamo abbastanza in fretta. Ci preparano un tavolo sulla strada, guardiamo il menù e ordiniamo solo mezze: hummus, babaganush, del formaggio fritto, sambusek, e Leila aggiunge delle salsicce ovviamente non di maiale. Aggiungono loro delle olive, una salsina piccante da abbinare a hummus e cetrioli marinati. Ovviamente non manca il pane khoboz a rendere tutto ottimo. Questo è l’unico posto che serve anche birra, ma decidiamo di rimanere in fase disintossicante e prendiamo acqua gasata. Terminiamo con dei dolcetti, ma non ci intendiamo con il cameriere che ci porta un assaggio completo. Malgrado scoppi ci mangiamo un piatto di vari tipi di baklava e mezzo di due formaggi alla pjastra conditi con miele e non saprei cosa. Anche questi ottimi, ma decisamente troppo.
Smaltiamo con una passeggiata e un po’ di acquisti. C’è un negozietto che vende varie cose e supporta le donne. Non costa molto e si trovano cose carine.
Tornando verso l’albergo troviamo una festa privata, con gruppo che suona a volume pazzesco. Ci avviciniamo per vedere, ma non abbiamo capito cosa fosse.
Ritorniamo all’albergo con il mal di gola, probabilmente dovuto allo smog del traffico, perché dopo 30 minuti in camera passa ad entrambi.
Il giro in città merita, se non altro per uscire dalla lussuosa prigione dell’hotel.
confermo: Aqaba sta al Mar Rosso come il porto di Taranto sta all’Adriatico pugliese